Nell’Italia dove si distribuisce carburante proveniente da “paradisi doganali” e probabilmente dall’ISIS, nell’Italia delle “cartiere” e dei “caroselli” IVA, del caporalato agricolo e non solo, nell’Italia dove si vincono gare offrendo il 79% (!?!) di ribasso, dove si aggirano cadaveri ingombranti e gonfi di personale e di sprechi come l’ATAC a Roma o l’AMA a Milano, dove agenzie dello Stato, come la GESIMP, affidano illegalmente sostanziosi incarichi di fornitura di servizi di disinfestazione e derattizzazione a imprese che non hanno alcun requisito, legalmente necessario, per svolgere queste attività, non ci si dovrebbe più meravigliare di nulla, con due sole alternative possibili: rassegnarsi e seguire l’andazzo, e magari adeguarsi e trarne tutti i vantaggi possibili, come diceva una star afroamericana, oppure indignarsi ancora e dire “Basta! Non ci sto!”.
Secondo voi che strada dovrebbe prendere l’associazione? La prima, e inseguire tutti gli intrallazzi praticabili e possibili, o la seconda, intervenendo con autorevolezza nei confronti di tutti coloro il cui comportamento sia da considerarsi professionalmente inaccettabile?
Proviamo a ragionarci assieme: ANID ha sempre sostenuto la non ingerenza tra gli associati in tema di prezzi e quotazioni, e questa impostazione è stata confermata da tutti gli Organi Direttivi. La particolarità oggettiva dei servizi di Pest Control, la diversa qualificazione professionale dei propri tecnici, la differente valutazione qualitativa e di costo dei prodotti costituiscono elementi molto differenti e differenzianti tra diverse offerte. Ma quando il preventivo sembra non tener neppure conto dei minimi contrattuali del personale impiegato o si muove in termini abissali rispetto all’importo del prezzo a base d’asta è ancora sostenibile l’astenersi, da parte dell’associazione, da una propria oggettiva valutazione e, nel caso, nascondersi dietro una preconcetta astensione?
ANID ha sempre posto l’affermazione della professionalità degli operatori associati come una vera e propria bandiera da sventolare con credibilità verso gli interlocutori esterni, conquistando una riconosciuta autorità. Ma astenendosi completamente da un qualsiasi giudizio di carattere interno, sui comportamenti, anche commerciali, dei propri associati non rischia di perdere autorevolezza e quella affidabilità costruita in quasi vent’anni di garanzia? E se si deve intervenire, come fare? Con quali criteri e quali parametri? Chi deve agire e in quale modo?
Chi scrive qualche idea ce l’ha, ma il problema è di tutti gli associati e tutti devono contribuire a cercare e trovare la migliore strada percorribile, come sempre è accaduto.